ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA | 2 novembre 2025, ore 18
Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone – Sala Santa Cecilia
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Antonio Pappano
Soprano Natalya Romaniw
Contralto Szilvia Vörös
Tenore Pavel Černoch
Basso Giorgi Manoshvili
Maestro del Coro Andrea Secchi
W.A. Mozart – Sinfonia n. 41 in do maggiore K. 551 “Jupiter”
A. Bruckner – Messa n. 3 in fa minore WAB 28 “Grosse Messe”
foto©Accademia di Santa Cecilia
La serata del 2 novembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma, ha attraversato due secoli e due mondi – il classicismo limpido di Mozart e la spiritualità monumentale di Bruckner – sotto la guida di un interprete che, più che dirigere, scolpisce il suono con gesto e anima. Antonio Pappano, nel primo dei suoi due appuntamenti con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per la stagione sinfonica 2025/2026, ha offerto un esempio magistrale di equilibrio tra energia e introspezione, tra rigore e fervore.
La Sinfonia n. 41 “Jupiter” di Mozart, che apre la serata, si presenta nella sua perfezione adamantina, ma sotto la bacchetta di Pappano diventa un inno alla vitalità del pensiero musicale. Fin dall’Allegro vivace iniziale, l’orchestra si dispone come un corpo unico, vibrante e preciso, e la chiarezza della scrittura mozartiana si accende di contrasti dinamici, di frasi respirate, di dettagli cesellati con attenzione cameristica. Pappano evita ogni tentazione di monumentalità, scegliendo invece la via della trasparenza e del ritmo interno: il tempo scorre con naturalezza, e le sezioni dialogano con una leggerezza che non è mai superficialità. L’Andante cantabile è un momento di sospensione, di canto puro, costruito su una tavolozza di colori caldi, dove i legni respirano con voce umana. Nel Minuetto, il gesto diventa danza, mentre il Finale – mirabile intreccio contrappuntistico che ha valso all’opera il soprannome di “Jupiter” – si trasforma in un gioco di intelligenza e splendore, una fuga che è anche celebrazione dell’armonia universale. L’Orchestra di Santa Cecilia risponde con precisione e una brillantezza rare: archi limpidi, legni flessibili, ottoni solenni ma misurati. La sala avverte l’energia che scorre tra podio e orchestra, e al termine del finale l’applauso esplode, spontaneo, come liberazione di gioia.
Dopo l’intervallo, il viaggio cambia orizzonte. Dal cielo ordinato di Mozart, si entra nella cattedrale sonora di Anton Bruckner. La Messa n. 3 in fa minore, composta nel 1868, è una delle più alte espressioni del misticismo bruckneriano: un equilibrio fragile tra fede e dubbio, grandezza e fragilità umana. Pappano affronta la partitura con rispetto quasi liturgico, ma anche con una visione teatrale del suono. Fin dal Kyrie, il coro – preparato con finezza da Andrea Secchi – emerge come un respiro collettivo, denso di ombre e di luce. Il dialogo con l’orchestra è continuo, fluido, e la spazialità sonora è perfettamente calibrata: le voci sembrano provenire da lontano, come un richiamo, e poi tornare a terra, in un crescendo di invocazione e umiltà. Nel Gloria esplode la maestosità bruckneriana, ma Pappano ne modera la forza con una chiarezza quasi architettonica: la coralità diventa costruzione verticale, e il suono si dilata senza mai travolgere. Il quartetto dei solisti – Natalya Romaniw, Szilvia Vörös, Pavel Černoch e Giorgi Manoshvili – si distingue per equilibrio e sensibilità. Romaniw offre un soprano luminoso, capace di slancio e dolcezza; la Vörös colora le frasi con un timbro caldo e raccolto; Černoch dosa energia e controllo, mentre Manoshvili chiude l’impasto con un basso profondo e autorevole. Ottimi, altresì, i soli del Primo violino di Spalla dell’orchestra, Andrea Obiso e della prima viola ospite, Thomas Roessel.
Nel Credo, l’orchestra si fa protagonista: Pappano costruisce un discorso che sembra scolpire la fede nel suono stesso, con ottoni che si levano come colonne e archi che respirano come pietra viva. C’è in tutto questo un senso di disciplina e di abbandono, di preghiera laica e monumentale. Il Sanctus arriva come una visione di luce, mentre l’Agnus Dei finale si distende in un commiato pacificato, una carezza sonora che dissolve ogni peso. Il silenzio che segue è quasi sacro: il pubblico resta immobile, come sospeso. Poi un applauso lungo, compatto, che cresce fino all’ovazione. Pappano si volta verso coro e orchestra, li ringrazia con un gesto semplice e riconoscente.






